Per non dimenticare

La via Salaria è una delle grandi strade consolari tracciate dagli antichi romani. Com’è facile capire dal nome, serviva per il trasporto del sale dal Mar Adriatico a Roma. Oggi la Salaria solca il cuore del Centro Italia e del suo Appennino Centrale.

 

Aperto nel 1991 dalla famiglia Cafini, l’edificio della Vecchia Ruota ha retto bene alle scosse dell’agosto e dell’ottobre del 2016, oltre che alla grande nevicata, mista a terremoto, del gennaio 2017.

Perciò, questo luogo semplice – periferico per i viandanti e centrale per le comunità della zona – è diventato un centro sociale di riferimento per i soccorritori, per gli sfollati, per i viaggiatori.

Per tutti, insomma.

 

La dedizione e la genuinità dei titolari – Gian Piero Cafini, sua sorella Chiara e sua moglie Manuela Bevilacqua – erano le caratteristiche fondamentali anche prima dello sconvolgimento forzato di tutto il territorio che abbraccia la Conca Amatriciana e l’Alta Valle del Tronto.

Ma se prima comunque “si lavorava bene”, come confida Gian Piero a Virtù Quotidiane, dopo il terremoto La Vecchia Ruota è stato fondamentale anche dai punti di vista logistico e sociale. L’epicentro, d’altronde, è lontano neanche dieci chilometri.

 

“Questo ristorante è la nostra vita da 27 anni – evidenzia Cafini a questo giornale – l’ha aperto mia sorella insieme ai miei genitori. Dagli inizi Duemila ho iniziato a stare in cucina anche io”. Ma il lavoro è tanto, così come i coperti, e quindi La Vecchia Ruota si avvale di una decina di persone in tutto. Un numero non esiguo di lavoratori e lavoratrici, considerando le dimensioni e le condizioni in cui versano da queste parti i borghi.

 

Subito dopo il terremoto del 24 agosto 2016, i locali e il parcheggio hanno supplito alla funzione di campo tenda per i soccorritori. La famiglia Cafini, migrata per diversi mesi a Porto d’Ascoli, ha generosamente lasciato le porte aperte, fidandosi delle tante persone che da tutta Italia erano arrivate nel Lazio per le operazioni di soccorso.

 

Negli ultimi due anni in molti l’hanno conosciuta (o riconosciuta) in televisione, perché rappresenta l’unica grande strada a scorrimento veloce delle zone colpite dal terremoto del 2016. Rappresenta il comun denominatore tra i tre territori comunali più sfiancati dalle scosse, che nella via Salaria trovano collegamento e continuità territoriale: Amatrice, Accumoli e, subito dopo il confine tra Lazio e Marche, Arquata del Tronto.

 

È qui, alle porte di Grisciano, frazione di Accumoli (Rieti) che affaccia sulla Salaria e che, purtroppo, è stata quasi completamente distrutta dal sisma, che si trova il ristorante La Vecchia Ruota, una vera e propria istituzione da queste parti.

 

Una settantina di soccorritori, così, hanno potuto usufruire degli spazi del ristorante, rimasto chiuso per sole tre settimane.

Il 14 settembre, infatti, si è già tornati in cucina, per ricominciare con coraggio a lavorare. Per andare avanti, insieme: “Anche chi non veniva per mangiare, veniva a chiacchierare – afferma emozionato Gian Piero Cafini – è servito da punto di riferimento per tutti, anche perché era uno dei pochissimi luoghi rimasti immutati dopo il terremoto”.

 

Oggi, a quasi due anni dalla prima forte scossa, diversi sono i luoghi di socialità e di ristorazione riaperti in zona, ma La Vecchia Ruota continua ad essere uno dei più frequentati. Otto persone su dieci ordinano la famosa pasta alla gricia, l’antenata bianca dell’amatriciana, probabilmente nativa proprio di Grisciano: “Non sappiamo con certezza scientifica se la gricia è nata nel nostro paese – osserva il ristoratore laziale – nutriamo dei dubbi su bislacche teorie che parlano addirittura di origini svizzere. Quel che è certo è che noi a Grisciano la facciamo da sempre, da quando esiste il paese”.

 

E in effetti il guanciale di maiale, così come il pecorino, sono pietanze tipicamente abruzzesi, regione alla quale apparteneva la Conca Amatriciana fino a qualche decennio fa. Piatti semplici, come la simpatia di Simona Organtini, che serve in sala sempre col sorriso sul volto e la battuta pronta.

 

I pochi che non vogliono assaggiare l’eccellenza del posto “ripiegano” (si fa per dire) sulle fettuccine fatte a mano, su funghi e tartufo locali: “Per quanto ci è possibile, tendiamo a prendere tutti prodotti della nostra zona, dai funghi ai fagioli, fino alle mozzarelle di bufala di Terzone (frazione di Leonessa, ndr), ai salumi della Sano, salumificio artigianale locale, che dà lavoro a più di venti persone, e agli arrosticini di una macelleria di Pescara”.

 

I titolari della Vecchia Ruota, dopo un lungo pendolarismo tra il ristorante e Porto D’Ascoli, sono tornati a vivere sul territorio, in un Sae – le casette “provvisorie” costruite dallo Stato – e in un container. Sognano di rivedere Grisciano come qualche anno fa, dove resistevano i 130 abitanti stanziali, e nel frattempo si adoperano insieme a tante altre persone per la socialità dei paesani, organizzando, ad esempio la Sagra dell Gricia, che si terrà appena dopo ferragosto.

 

Certo, niente è facile qui. La Vecchia Ruota, per esempio, gestiva anche un bad & breakfast al centro del paese. Ma oggi, nonostante la forte mancanza di posti letto disponibili e strutture ricettive agibili, non viene permesso alla famiglia Cafini di delocalizzare l’attività e rimettere su il b&b, neanche con soldi propri: “Come comunità vogliamo avere possibilità per continuare a vivere qui, nonostante tutto – sottolinea Gian Piero – ma ci devono mettere in condizioni di farlo, bisogna creare ricettività, spazi aggregativi reali e strutture adatte per i bambini. E l’unica cosa davvero importante che dobbiamo fare noi è non pensare troppo al futuro, ma vivere e combattere quotidianamente”.

 

D’altronde, dev’essere grande la determinazione per rimanere a vivere in una città o in un borgo terremotato. E alla Vecchia Ruota lo stanno dimostrando, giorno dopo giorno.

 

Fonte: virtuquotidiane.it

Lei è Sofia Romualdi, amica carissima, cliente affezionata.

 

È volata via tra la polvere della sua casa la notte del 24 agosto 2016.

 

Grisciano era il suo rifugio, luogo del ritorno, luogo di incontri, di condivisione, di una lenta e genuina quotidianità.

 

Insieme al marito Francesco è stata presenza attiva, altruista, generosa nella nostra piccola comunità.
Vogliamo ricordarla con una frase di Cesare Pavese a cui era particolarmente legata…

 

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”